Se un organo come un rene si ammala, un’opzione è quella di trapiantare un nuovo rene, sperando di curare il paziente. In modo simile, ma su scala più piccola, le cellule staminali potrebbero essere usate per sostituire non l’intero organo ma le cellule malate o morenti nei tessuti malati. Tuttavia, in entrambi i casi le cellule immunitarie del paziente riconosceranno che le cellule o i tessuti trapiantati non appartengono al paziente ricevente: non sono “self”, e il sistema immunitario inizierà una reazione di rigetto delle cellule estranee dal corpo, a meno che questo non venga soppresso con farmaci specifici. Il riconoscimento del “sé” immunitario è mediato da un gran numero di geni che codificano per le proteine dell’antigene leucocitario umano (HLA), presenti su tutte le cellule del corpo. Se si potessero generare cellule staminali che avessero lo stesso acido desossiribonucleico (DNA) di quelle di un paziente, questo permetterebbe il trattamento con il trapianto di cellule o tessuti senza la necessità dell’immunosoppressione con tutti i suoi effetti collaterali, poiché le cellule trapiantate sarebbero geneticamente identiche al paziente. Le cellule staminali che esprimono proteine HLA sulla loro superficie identiche a quelle espresse dal paziente sarebbero, in teoria, riconosciute dal sistema immunitario del paziente come “self” e quindi non respinte.