Le lettere di Robert Frost: Volume I, 1886-1920, è il primo di quattro volumi delle lettere del poeta ad essere pubblicato, e mostra Frost come non lo abbiamo mai visto prima. Due dei curatori del libro, Donald Sheehy e Mark Richardson, scelgono le 10 migliori poesie di Frost. I link alle poesie sono inclusi quando disponibili.
“Il massimo dell’ambizione è quello di alloggiare alcune poesie dove sarà difficile sbarazzarsi di loro”, Robert Frost ha scritto nel 1935. Il problema per chiunque faccia una top ten di Frost è che ha alloggiato (come ha detto Edwin Arlington Robinson) “più della sua parte”. Non abbiamo nominato un numero che, come la Gioconda, sono diventati difficili da vedere per pura familiarità (anche se in molti di quelli Frost dà il meglio di sé). Ma di questi dieci, in ogni caso, facciamo molta fatica a sbarazzarci.
“An Old Man’s Winter Night”
Verso vuoto al suo meglio gelido, insieme miltoniano e colloquiale. Quando troviamo la qualificazione parentetica registrata nel penultimo verso (“un uomo anziano – un uomo solo”) sappiamo cosa ci aspetta. Frost “consegna” tutto “alla luna”. Edmund Spenser saprebbe cosa significa: “L’orgoglioso cambiamento (che non si compiace, nelle cose mortali, / Sotto la luna, di regnare) / Pretende, così come gli dei, gli uomini, / di essere il sovrano”. Ma con quale tranquillo umorismo Frost se la cava, e con quale varietà nel rapporto tra frase e riga. Una volta ha citato come antitetici alla poesia alcuni versi di Dryden: “Dall’armonia, dall’armonia celeste, / Questo telaio universale ha cominciato… Il diapason che si chiude in pieno nell’uomo”. Bello pensarlo, ma – come suggerisce “An Old Man’s Winter Night” – probabilmente sbagliato.
“Happiness Makes Up in Height for What It Lacks in Length”
La poesia – una cascata di distici in trimetro giambico – è mezza finita prima di riprendere fiato, i suoi primi undici versi sono una sola frase. L’ironica ripetizione nell’apostrofo di apertura, “Oh, mondo tempestoso e tempestoso”, ammorbidisce e approfondisce la litania del tempo triste che segue. Con le giornate limpide che sono state così poche, l’oratore riflette, come spiegare un senso duraturo di calore e luce? “Se la mia sfiducia è giusta”, risponde, come uno mistificato dal suo stesso pensiero, “può essere del tutto / Dal tempo perfetto di un giorno”. Ma anche un giorno sereno dall’alba alla sera non sarebbe stato una causa sufficiente, vissuto da solo. “Credo proprio”, dichiara con maggiore sicurezza a colui la cui presenza è ora rivelata, che sia stato un giorno in cui “nessuna ombra ha attraversato se non la nostra”.
“Il mio ospite di novembre”
Un perfetto esempio di come Frost potesse fare musica con consonanti e vocali armonizzate e allo stesso tempo con quelli che lui chiamava “i suoni del senso”: il diciannovesimo secolo passa attraverso questi versi al ventesimo, la poesia vittoriana alla moderna. Difficile nominare una migliore poesia di corteggiamento. Non siamo stati tutti “innamorati di essere fraintesi”, come dice Frost nella glossa sulla poesia in A Boy’s Will? Notate come sono diverse le frasi in queste quattro strofe. Ascoltate la poesia come detta (con frustrazione divertita) a un amico a proposito di un amante non presente.
“Provide, Provide”
Freddo conforto che non ci si stanca di infliggere a chiunque voglia ascoltare. “Boughten” è perfetto secondo l’OED “otherwise”: “Used poet. for the sake of metre; otherwise only dial. and in U.S. in application to purchased as opposed to homemade articles”. L’ironia liberata in questa poesia è stranamente instabile, come si addice alla sua stregoneria. “Fai tua l’intera borsa! / Se è necessario occupare un trono”. Un buon consiglio. Non ci è mai venuto in mente di farlo.
“The Black Cottage”
Forse il dramma meno apprezzato di North of Boston, il poema intreccia una storia sociale e spirituale del New England nella seconda metà del XIX secolo nel discorso sconclusionato di un ministro ben intenzionato ma diffidente. Memorizzando le severe certezze della vedova della Guerra Civile attraverso la gentile ambivalenza del vangelo sociale del ministro, Frost mette a nudo l’anima di una cultura mutata e mutevole.
“In Divés Dive”
Un’altra delle indagini di Frost in quel “duro mistero di Jefferson”, come dice il ministro in “The Black Cottage”. Nessun’altra poesia racchiude così tanto dell’America in così poche righe, né con tanta astuzia. La nazione è una bettola da gioco, la casa (quella di Divés) vince sempre, e noi parliamo di “uguaglianza” per distrarci? È questa l’offerta? (Tenete presente chi è Divés, per convenzione, e cosa gli è successo: Luca 16:1931). Difficile decidere queste domande, come spesso con Frost. Ma se avesse scelto di recitare questo piccolo diavolo di poesia all’inaugurazione di JFK, invece di “The Gift Outright”, l’effetto sarebbe stato diverso.
“The Onset”
Questa lirica finemente lavorata mette in scena una ricerca spirituale in due strofe contrappuntistiche, parallele, ma sottilmente squilibrate. La prima – troncata a undici righe mentre i distici cedono il passo a una terzina conclusiva – evoca la sconfitta spirituale in un mondo decaduto attraverso il simbolismo naturale tramandato dagli antenati puritani di Frost. In una “notte fatidica”, una neve che tutto spoglia cade con il sibilo di un serpente, riducendo il nostro stanco pellegrino alla disperazione. Guardando due volte, tuttavia, la metafora del processo naturale che aveva confermato la sua sconfitta, l’oratore trova “tutti i precedenti” dalla sua parte: “La morte invernale non ha mai provato / La terra ma ha fallito”. In sei distici, la seconda strofa convoca la primavera, scaccia il serpente come un effimero ruscello, e lascia in bianco solo una betulla e un “grumo di case con una chiesa.”
“On the Heart’s Beginning to Cloud the Mind”
Dal finestrino di un treno che attraversa il deserto a mezzanotte, un viaggiatore insonne vede una sola luce lontana e si preoccupa del suo tremolio. Brucia debolmente, presto si spegnerà – un segnale del pathos umano che trema in “una disperazione bruta dimenticata da Dio”? O sembra solo sfarfallare attraverso gli alberi che intervengono, illuminato da una coppia autosufficiente che lo spegne ogni notte quando vuole? L’emozione e la ragione offrono conti rivali, ma scegliendo di vedere la vita come non “così sinistra-grave”, l’oratore sostiene se stesso e noi con un “racconto di un genere migliore.”
“The Hill Wife”
Un racconto di disarmonia domestica e la tensione psicologica dell’isolamento rurale. Qui, Frost rivisita la scena di North of Boston in una forma sorprendentemente diversa. La continuità drammatica è frammentata in cinque episodi raccontati da punti di vista mutevoli in varie forme metriche. “Solitudine” e “Il sorriso” sono sottotitolati “La sua parola”, identificando la prospettiva come quella della moglie, anche se la voce è lirica come quella dell’osservatore che parla in “Paura della casa”, “Il sogno spesso ripetuto” e “L’impulso”. Intrusiva in “Paura della casa” (“Ti dico questo che hanno imparato”), e al corrente di sogni inquietanti, l’onniscienza dell’osservatore fallisce quando la cerchiamo di più, come chiude “L’impulso” – lasciandoci perplessi come il marito e di fronte a finali drammatici oltre al dénouement. Sorprendentemente moderno; plasmato in parte dal deterioramento della sensibilità della moglie, in parte dalle spiegazioni oblique dell’osservatore; alludendo alla paranoia e anche alla minaccia genuina; alternando l’oscurità e la luce del giorno, il sogno e la realtà: questi episodi offrono solo scorci, i loro interludi vuoti ma pieni di tensione.
“The Most of It”
Una strana poesia schopenhauriana, non su un cervo, ma su ciò che quel cervo “incarna”: il più, per essere sicuri, “e questo era tutto”–o questo è tutto. Non c’è fine alla vitalità, e dove sia diretta non lo sa nessuno, anche se di dove venga gli scienziati ora parlano. Per quanto riguarda i teologi che dicono che non “teniamo l’universo da solo”: la giuria è appesa, come suggerisce questa poesia; e non c’è appello, “gridiamo alla vita” in qualunque modo possiamo farlo.