Hitchcock disse notoriamente: “Per fare un grande film servono tre cose: la sceneggiatura, la sceneggiatura e la sceneggiatura!”. E ha ragione. Troppo spesso, la sceneggiatura è considerata semplicemente come il progetto di un film, ma in realtà è la sovrastruttura: la sua base, e la sua caratteristica più duratura. Pensate ai film di Hitchcock: alcune delle riprese (in particolare quelle scene “in auto” con i loro ridicoli fondali fotografici) possono essere datate male, ma le storie – le sceneggiature – rimangono i veri capolavori della suspense cinematografica. E così è per tutte queste sceneggiature. Possono differire selvaggiamente nel genere e nello stile, ma sono tutti esempi supremi della narrazione ad alta velocità che il cinema fa meglio di qualsiasi altra forma d’arte narrativa.
20. THE DEAD (1987) (DI TONY HUSTON, BASATO SUL RACCONTO DI JAMES JOYCE THE DUBLINERS)
John Huston è stato lui stesso un grande sceneggiatore, scrivendo le sceneggiature di classici come The Maltese Falcon, ma è stato probabilmente superato dall’adattamento di suo figlio Tony del grande racconto di James Joyce, The Dead. (È un racconto così grande, forse il più bello mai scritto, che alcuni hanno sostenuto che raggiunge tutto ciò che fa l’Ulisse, solo in un tempo infinitamente minore). L’adattamento di Huston Jr. è fedele, ma dato un materiale di partenza così incredibile, sarebbe stato pazzo ad allontanarsi troppo dal testo originale. Di conseguenza, la sceneggiatura, come la storia, è un capolavoro di moderazione – moderazione che alla fine crolla quando un uomo scopre la verità sulla donna che ama.
19. LE SALAIRE DE LA PEUR (1953) (DI HENRI-GEORGES CLOUZOT E JÉROME GERONIMI, Tratto dall’omonimo romanzo di GEORGES ARNAUD)
Le Salaire de la Peur (Il salario della paura) è forse il più grande film d’azione mai realizzato, e la ragione è che è basato sulla realtà: la vita reale di uomini disperati. In un deserto sudamericano dimenticato da Dio, un equipaggio eterogeneo di europei venuti a sud in cerca di avventura e fortuna è rimasto alla fine bloccato e disilluso. La loro unica speranza di guadagnare il biglietto aereo per tornare a casa è quella di imbarcarsi in quella che è praticamente una missione suicida: trasportare nitroglicerina attraverso una catena montuosa, in modo che possa essere usata per spegnere un incendio in un pozzo di petrolio. L’impostazione è superba, con il cinismo, anche senza speranza, dei personaggi (così tipico di una generazione che era sopravvissuta alla seconda guerra mondiale solo per affrontare l’orrore di Hiroshima) che viene rapidamente stabilito. Ma sono le sequenze d’azione, mentre gli uomini viaggiano lentamente su strade sterrate sapendo che il più piccolo urto può scatenare la loro estinzione, che sono ineguagliate e forse ineguagliabili nel cinema.
18. THE USUAL SUSPECTS (1995) (DI CHRISTOPHER McQUARRIE)
È del tutto possibile, come molti hanno sostenuto, che alla fine non abbia senso, ma questo non importa – I soliti sospetti è ancora l’archetipo della sceneggiatura moderna. Come ha detto il mio migliore amico, dà vita a tutte quelle teorie post-moderne sui narratori inaffidabili e le trasforma in un grande thriller. La sola tagline – “Cinque criminali. Un line-up. Nessuna coincidenza” – è diventata una specie di stenografia per il lancio di film (“Cinque astronauti. Una tuta spaziale”, ecc.). Come tutte le grandi sceneggiature, ci sono molte grandi linee, ma forse la migliore è: “Il più grande trucco che il Diavolo abbia mai fatto è stato convincere il mondo che non esiste”. Forse lo stesso vale per il film stesso: forse il più grande trucco di The Usual Suspects è convincerci della sua grandezza anche se non tutto ha senso.
17. TOKYO STORY (1953) (DI KŌGO NODA E YASUJIRŌ OZU)
“Simple Story” avrebbe potuto essere un titolo alternativo, perché Tokyo Story è quasi scioccamente semplice: una coppia di anziani giapponesi viaggia dal loro piccolo paese alla grande città per visitare i loro figli, solo per trovarsi sempre più alienati sia da loro che dalla vita moderna in generale. Forse questa è davvero la storia più antica di tutte: la storia della vita stessa, o il viaggio dalla giovinezza all’età, che troppo spesso, tragicamente, è il viaggio dalla speranza alla disperazione. Ma la speranza è solo il rovescio della disperazione, e alla fine l’anziana coppia trova un po’ di conforto nel semplice amore e rispetto della vedova del figlio, che dimostra che il “sangue” (la semplice biologia) non è sempre più spesso dell'”acqua” (la nostra comune umanità).
16. À BOUT DE SOUFFLE (BREATHLESS) (1960) (DI JEAN-LUC GODARD)
À Bout De Souffle (Senza fiato, o più precisamente, Senza respiro) è stato descritto da molti, incluso Martin Scorsese, come l’asse del cinema: il punto di svolta, o perno, su cui si impernia tutto il cinema, dagli anni 1890 a oggi. Di solito, è così apprezzato per il suo rivoluzionario lavoro di ripresa e montaggio, ma anche la sua trama è notevole: è una trama che non è una trama, almeno nel senso tradizionale. Succede molto poco, ma tutto conta. E c’è anche qualche dialogo esplicitamente filosofico, incarnato da Jean-Pierre Melville (lui stesso un grande regista, che appare qui come una piccola parte nel film di un altro grande regista) che opina: “Siamo tutti uomini morti in licenza”. À Bout De Souffle ci ricorda che, alla fine, siamo tutti a corto di fiato, e dobbiamo sfruttare al massimo ogni respiro prima di fare l’ultimo.
15. IN THE BEDROOM (2001) (DI TODD FIELD E ROBERT FESTINGER, BASATO SUL RACCONTO, KILLINGS, DI ANDRE DUBUS)
Ci sono molte sceneggiature moderne più celebrate e più appariscenti di In The Bedroom (molte di Tarantino, per esempio), ma nessuna così semplicemente, nettamente stupefacente. Presumibilmente basato sulla storia vera di un omicidio in una piccola città, In The Bedroom ritrae l’uccisione dell’unico figlio di una coppia di mezza età dopo che lui è stato coinvolto in una relazione con una divorziata: il suo ex marito esegue una brutale vendetta contro il giovane che lo ha sostituito nell’affetto della sua ex moglie. La sceneggiatura è così semplice, così veritiera, che ha il sapore della non-fiction, ma ha anche l’attenta lavorazione letteraria di un Cheever o di un Carver. Soprattutto, è una storia sul dolore, e sulla quasi impossibilità di sopravvivere ad esso, specialmente quando l’amato che si perde è un bambino. Shakespeare, il cui unico figlio fu reclamato dalla peste, scrisse: “Quando i figli precedono i progenitori/noi siamo la loro prole e loro nessuno dei nostri”, e questo non è mai più vero che qui, quando i due genitori cercano di ricostruire le loro vite dopo la tragedia finale.
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14. CHINATOWN (1974) (DI ROBERT TOWNE)
Chinatown potrebbe essere la sceneggiatura cinematografica formalmente più perfetta mai scritta, e come tale è infinitamente descritta (dai guru della sceneggiatura, tra gli altri) come la sceneggiatura classica di Hollywood. Ma ciò che forse è più interessante è come tutto ciò che riguarda la storia fluisca senza soluzione di continuità dalla sua idea centrale, che è letteralmente incarnata nel titolo. Lo scrittore Robert Towne ha detto che ciò che ha realmente dato vita alla sua sceneggiatura è stata una discussione avuta una volta con un poliziotto della buoncostume che aveva lavorato sotto copertura nella Chinatown di Los Angeles. Ciò che alla fine aveva disilluso il poliziotto era la realizzazione che, per tutto ciò che pensava di fare del bene, il più delle volte non faceva altro che peggiorare le cose, per esempio togliendo una bambina abusata da una famiglia che poi era ancora più persa di quanto fosse stata prima. È questa idea dell’impossibilità di fare del bene in un mondo sporco che è al centro di Chinatown.
13. IL TERZO UOMO (1950) (DI GRAHAM GREENE)
Tanti grandi romanzi di Graham Greene (purtroppo, come tanti grandi romanzi) non si sono tradotti bene sullo schermo, ma Il terzo uomo sì – in modo indimenticabile. Forse perché non era affatto un romanzo, o almeno non in origine: Greene ha pubblicato Il terzo uomo come romanzo solo dopo il successo del film, avendo originariamente intenzione di essere solo il trattamento per una sceneggiatura. In questo caso, Greene, un vero grande scrittore, ha scritto direttamente per lo schermo, e si vede. Era stato nella Vienna del dopoguerra e sembrava averne assorbito i suoni, le immagini e anche gli odori, specialmente quelli della labirintica rete fognaria che è diventata lo scenario (letteralmente e metaforicamente) di tanta parte del film. Greene era andato in Austria in cerca di una storia e ha finito per raccontare la storia di uno scrittore (uno scribacchino come Holly Martins, piuttosto che un genio come Greene stesso) alla ricerca di un vecchio amico, che si rivela essere niente di simile all’uomo che pensava di conoscere.
12. VERTIGO (1958) (DI ALEC COPPEL E SAMUEL A. TAYLOR, BASATO SUL NOVELLO D’ENTRE LES MORTS DI PIERRE BOILEAU E THOMAS NARCEJAC)
Anche più di Chinatown, Vertigo è il film poliziesco definitivo: la storia di un uomo alla ricerca dell’amore perduto. L’apertura è una delle più grandi di tutto il cinema, una corsa senza fiato sui tetti di San Francisco che finisce in tragedia quando il poliziotto di Jimmy Stewart, Scottie, non è in grado, perché soffre di vertigini, di salvare un poliziotto in uniforme dal cadere verso la morte di sotto. Il ritmo poi rallenta, dato che Stewart è ridotto all’umile status di un investigatore privato che viene assunto da un vecchio amico del college per risolvere il mistero delle sparizioni quotidiane di sua moglie. Osservandola così da vicino, così fedelmente (come un vecchio cane Scottie), finisce inevitabilmente per innamorarsi di lei, solo per scoprire che la storia si ripete tragicamente quando anche lei muore. Ed è allora che Scottie inizia la sua discesa verso la follia e l’ossessione, mentre cerca di ricreare la ragazza perduta sotto forma di una nuova, solo per rendersi conto tardivamente che le due donne sono più simili di quanto avrebbe mai potuto immaginare… La sceneggiatura di Vertigo è essa stessa vertiginosa, vertiginosa, poiché noi, lo spettatore, seguiamo Scottie mentre segue la ragazza, e alla fine, come Scottie, anche noi cadiamo – prima nell’amore e poi nella disperazione.
11. LES ENFANTS DU PARADIS (THE CHILDREN OF PARADISE) (1945) (DI JACQUES PRÉVERT)
Spesso considerato il miglior film francese mai realizzato (da Francois Truffaut, per esempio), Les Enfants Du Paradis occupa un posto duraturo nel cinema francese perché è il grande film francese sull’occupazione: anche se è apparentemente un dramma d’epoca, il suo racconto di attori che lottano per sopravvivere è stato visto come una metafora della resistenza francese ai nazisti. La storia non è tanto un triangolo amoroso quanto un quadrangolo amoroso, con quattro uomini molto diversi (un mimo, un attore, un criminale e un aristocratico) che si contendono l’affetto di una bella donna. La sceneggiatura è sia poetica che surreale (come si addice ad una scritta da un grande poeta surrealista), ma per tutti i suoi giochi di parole è forse più memorabile per le sequenze d’amore senza parole del mimo.
10. GREGORY’S GIRL (1981) (DI BILL FORSYTH)
Non tanto un film sul coming of age quanto il coming of age, Gregory’s Girl è il più grande film sul primo amore mai realizzato. È anche una testimonianza del primato della sceneggiatura nel processo di realizzazione del film. Mentre molto altro del film è terribilmente datato (specialmente l’orribile musica), la sceneggiatura è ancora fresca e pungente come un cardo scozzese. Mi vengono in mente tante sequenze classiche, ma la più favolosa è la scena del “ballare sdraiati”, con Gregory che esorta Susan a tenersi stretta alla superficie del pianeta che gira sotto di lei. In quell’unica scena, la qualità letteralmente tellurica del primo amore che annaspa è evocata più splendidamente che in qualsiasi altro film che mi viene in mente.
9. BRIEF ENCOUNTER (1945) (DI NOEL COWARD , BASATO SUL SUO GIOCO STILL LIFE, E ANTHONY HAVELOCK-ALLAN, DAVID LEAN E RONALD NEAME)
Il film più tipicamente inglese mai realizzato è la prova che la moderazione è sempre più sexy dell’abbandono, e che ciò che non viene detto è quasi sempre più importante di ciò che viene detto. Questa è la natura del dialogo (l’ingrediente principale di una sceneggiatura): possiamo pensare qualsiasi cosa, ma di solito diciamo molto poco, ed è la distanza, la disparità, tra i due che è così significativa. Ed è così che probabilmente la più grande storia d’amore del cinema parla di un amore alla fine non consumato.
8. SUNSET BOULEVARD (1950) (DI BILLY WILDER, CHARLES BRACKETT E D. M. MARSHMAN, JNR.)
I più grandi film definiscono il loro genere: un primo slogan per Sunset Boulevard era “Una storia di Hollywood”, ma in realtà è la storia di Hollywood, che racconta la storia della più grande trasformazione di Hollywood – dal silenzio al suono – attraverso la storia di una star del cinema in declino che cerca disperatamente di riconquistare la sua fama (e giovinezza) attraverso lo sfruttamento di un giovane sceneggiatore. Solo che, trattandosi di Hollywood, anche lui la sta sfruttando… Il trucco narrativo che la sceneggiatura mette in atto è notevole, ma lo è anche il resto: contemporaneamente cinico e idealista, glamour e sfocato, Sunset cattura tutto il fascino fatale di Hollywood in una favola oscura.
7. ETERNAL SUNSHINE OF THE SPOTLESS MIND (2004) (BY CHARLIE KAUFMAN)
Per alcuni anni, negli anni ’90, Charlie Kaufman ha ottenuto ciò che si riteneva impossibile per uno sceneggiatore: era il suo nome, non quello degli attori o dei registi, ad attirare il pubblico. In effetti, il “film di Charlie Kaufman” era un genere a sé: storie quasi impossibilmente fantasiose sulla nostra immaginazione. E Eternal Sunshine (il titolo abbreviato con cui era conosciuto) era di gran lunga il migliore. L’idea centrale era quella di una coppia che voleva entrambi cancellare il ricordo dell’altro dalla propria mente, tanto dolorosa si era rivelata la loro relazione, ma quando quel desiderio fu reso realtà da una macchina che cancella la mente, i due si resero conto che anche i ricordi più dolorosi sono meglio di nessun ricordo. E così si mettono in fuga, attraverso le loro stesse psiche.
6. ANNIE HALL (1977) (DI WOODY ALLEN E MARSHALL BRICKMAN)
Potrei scegliere quasi tutte le meravigliose sceneggiature di Woody (da Manhattan a Midnight In Paris) per questa lista, ma alla fine devo scegliere Annie. Il suo titolo originale, “Anhedonia” (l’incapacità di essere felici), riassume ciò di cui parla il film: l’incapacità molto umana di apprezzare ciò che abbiamo, finché non è finito. È interessante notare che, nonostante tutta la brillantezza della scrittura, il film ha preso forma solo in sala di montaggio, come raccontato dal suo montatore, Ralph Rosenblum, nel suo libro seminale sul montaggio cinematografico, When the Shooting Stops, the Cutting Begins. Questa è la prova, se ce ne fosse bisogno, che tutta l’arte è in definitiva un montaggio: proprio come Michelangelo trovò il suo David in una lastra di marmo, gli scrittori trovano le loro storie tagliando e tagliando fino a quando rimane solo l’essenziale.
5. SOME LIKE IT HOT (1959) (DI BILLY WILDER E I. A. L. DIAMOND)
Con così tante sceneggiature veramente grandi tra cui scegliere, ho cercato di limitare ogni scrittore a una sola voce, ma ho dovuto fare un’eccezione per Billy Wilder: merita di essere incluso sia per la sua scrittura drammatica che per quella comica. E A qualcuno piace caldo è il film più divertente mai realizzato (con Life of Brian dei Python al secondo posto, secondo me). L’ultima battuta è la più divertente, ma è preceduta da un centinaio di battute, non ultima l’osservazione di Jack Lemmon quando vede Marilyn Monroe per la prima volta che è come “gelatina sulle molle”. È una buona immagine per il film stesso, che letteralmente rimbalza da Chicago alla Florida, seguendo gli eroi (e l’eroina) mentre cercano di sfuggire sia alla mafia che al grigiore di essere giocatori poveri e non apprezzati.
4. CITIZEN KANE (1941) (DI HERMAN J. MANKIEWICZ E ORSON WELLES)
La storia della scrittura di Citizen Kane è così buona che è diventata materia di mito e leggenda. È stato trasformato in un film, RKO 281, e il grande critico cinematografico del New Yorker, Pauline Kael, ha notoriamente sostenuto che lo sceneggiatore Mankiewicz meritava la maggior parte del merito per il successo del film. Qualunque sia la verità della questione, è certamente bello vedere uno sceneggiatore che viene celebrato, e meritatamente per questa sceneggiatura ancora notevole. Partendo da una semplice domanda, “Cos’è Rosebud?”, è allo stesso tempo epica e sperimentale, poiché l’eponimo Kane viene esaminato da tutte le angolazioni, da amici, ex mogli e infine anche dal suo staff. Citizen Kane è un testo obbligatorio, in tutti i sensi, per qualsiasi sceneggiatore, perché racconta una grande storia che solo il cinema poteva raccontare. Welles può aver trionfato in altri media (con un Voodoo Macbeth a Broadway e una terrificante Guerra dei Mondi alla radio), ma Citizen Kane poteva essere solo un film.
3. IL PADRINO (PARTE II) (DI FRANCIS FORD COPPOLA E MARIO PUZO)
Il Padrino (Parte II) è strutturalmente la sceneggiatura più notevole perché, come è stato spesso detto, è sia prequel che sequel del Padrino originale, raccontando contemporaneamente la storia di Michael Corleone e del giovane Vito Corleone, mostrando letteralmente come i peccati del padre sono spesso visitati sul (e poi rievocati dal) figlio. La storia si intreccia dentro e fuori diverse epoche, e tra diversi continenti, come un serpente (un serpente particolarmente sinuoso e sinistro). Per qualsiasi scrittore interessato a scrivere una storia veramente epica (una che si svolge nel tempo, anche per generazioni), la sceneggiatura de Il Padrino (Parte II) è il grande testo di riferimento.
2. WITHNAIL AND I (1987) (BY BRUCE ROBINSON)
Quello che unisce le mie due migliori sceneggiature di tutti i tempi (e ho trovato quasi impossibile dividerle) è la loro pura quotability: quasi ogni singola riga in ciascuna di esse è memorabile. Mentre scrivo questo, li ho entrambi accanto a me e per dimostrare il mio punto di vista passerò a una pagina a caso (promesso!). Con Withnail, la trovata casuale è la battuta “Siamo andati in vacanza per sbaglio”, e anche questa battuta apparentemente usa e getta è sia sintomatica della visione del mondo di Withnail (si rifiuta di prendersi la responsabilità, nemmeno per andare in vacanza) che universale. (Withnail può citare Amleto alla fine, ma per certi versi è ancora più simile a Macbeth: “Un povero attore che si pavoneggia e si agita per un’ora sul palcoscenico e poi non si sente più./È una storia raccontata da un idiota, piena di rumore e furore/che non significa nulla”. Withnail è, in superficie, una storia apparentemente leggera, “che non significa nulla”, ma naturalmente, come tutte le migliori storie, in realtà significa tutto.
1.CASABLANCA (1942) (DI JULIUS J. EPSTEIN, PHILIP G. EPSTEIN, HOWARD E. KOCH E CASEY ROBINSON, BASATO SULLA GIOCATA EVERY COMES TO RICK’S DI MURRAY BURNETT E JOAN ALISON)
La battuta che ho trovato per caso nella mia copia di Casablanca era una che non avevo mai considerato (e nemmeno notato) prima. Quando l’Elsa di Ingrid Bergman chiede a Laszlo perché non l’abbia mai lasciata, nonostante tutte le difficoltà che hanno affrontato insieme, lui risponde: “Volevo farlo, ma qualcosa di serio mi tratteneva sempre. Il mio bucato tardava a tornare – o c’era un cinema che volevo vedere…” Come sempre in una grande sceneggiatura, ogni riga è eloquente: “C’era un cinema che volevo vedere”. L’inglese di Laszlo è solitamente impeccabile, ma in questo momento di tensione fa quel piccolo, quasi impercettibile lapsus che lo tradisce sia come non madrelingua inglese sia come uomo completamente incapace di abbandonare la donna che ama, anche per salvare il mondo libero. E questo è il punto. Come sceneggiatori, ci viene sempre detto di “alzare la posta in gioco”… Beh, non si può “alzarla” più in alto di quanto faccia Casablanca, essendo la “posta in gioco” in questione la sopravvivenza del mondo libero (che era ancora molto in discussione quando il film fu girato). Casablanca può essere la sceneggiatura eternamente celebrata, ma questo per un motivo: è un esempio di come la vera grande arte sia sia quella di maggior successo commerciale che quella più lodata dalla critica. Per altri esempi, vedi Shakespeare, i Beatles, o Picasso… e la sceneggiatura di Casablanca appartiene a questa nobile compagnia.
Bonus
Concludo questa lista di grandi sceneggiature aggiungendo un avvertimento, ed è questo: probabilmente il singolo più grande risultato nella sceneggiatura di sempre (più grande anche di quelli di Withnail e Casablanca) non è ammissibile per questa lista, perché è per una serie TV, non un film. Sto pensando a The Wire, con la sua “fila di assassini” di grandi sceneggiatori (Dennis Lehane, Richard Price e George Pelecanos) supervisionati dallo “Shakespeare della televisione” (come David Simon sarà sicuramente conosciuto). Con le storie complesse e apparentemente senza fine della storia di lunga durata o “super narrativa” che la televisione del 21° secolo sta ora raccontando, la sceneggiatura sta veramente entrando in una nuova era.
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