Processo di Giovanna d’Arco

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Il mastio del castello di Rouen, residuo superstite della fortezza dove Giovanna fu imprigionata durante il suo processo. Da allora è diventato noto come la “Torre di Giovanna d’Arco”.

Le procedure di un processo inquisitoriale richiedevano un’indagine preliminare sulla vita del sospettato. Questa indagine consisteva nella raccolta di qualsiasi prova sul carattere del soggetto, comprese le testimonianze. Questo poteva poi essere seguito da un interrogatorio dell’accusato, in cui lui o lei era costretto a fornire una testimonianza che poteva poi essere usata contro di lui in un successivo processo.

Inchiesta preliminareModifica

Con le parole “Qui inizia il procedimento in materia di fede contro una donna defunta, Giovanna, comunemente conosciuta come la Cameriera”, la trascrizione del processo annuncia l’inizio, il 9 gennaio 1431, dell’inchiesta giudiziaria sul caso di Giovanna d’Arco (Jeanne d’Arc come il suo nome appare in testa a questi documenti).

Il primo ordine del giorno fu un’inchiesta preliminare sul carattere e le abitudini di Giovanna. Un esame sulla verginità di Giovanna fu condotto qualche tempo prima del 13 gennaio, supervisionato dalla Duchessa di Bedford (la moglie di Giovanni, Duca di Bedford, reggente in Francia del ragazzo-re Enrico II di Francia, VI d’Inghilterra). La duchessa annunciò che Giovanna era stata trovata vergine. Allo stesso tempo, i rappresentanti del giudice furono inviati al villaggio natale di Giovanna, Domrémy e dintorni, per indagare ulteriormente sulla vita di Giovanna, le sue abitudini e la sua virtù, intervistando diversi testimoni.

Il risultato di queste indagini fu che nulla poteva essere trovato contro Giovanna per sostenere qualsiasi accusa contro di lei. L’uomo che fu incaricato di raccogliere le testimonianze, Nicolas Bailly, disse che “non aveva trovato nulla su Giovanna che non avrebbe voluto trovare sulla propria sorella”. Questo fece arrabbiare Cauchon, che sperava in qualcosa da poter usare contro di lei. Accusò Bailly di essere “un traditore e un uomo cattivo” e si rifiutò di pagargli il salario promesso.

InterrogatorioModifica

In una lettera datata 20 febbraio 1431 e inviata agli assessori e agli altri per convocarli a comparire la mattina del giorno seguente per la prima sessione pubblica di interrogatorio di Giovanna, Pierre Cauchon citò la concessione della giurisdizione nella città di Rouen dal capitolo della cattedrale di Rouen allo scopo di condurre il processo contro Giovanna. Senza tale concessione, egli non sarebbe stato in grado di condurre le udienze in quanto non si trovava nella sua diocesi natale. Egli dichiarò anche che Giovanna era “veementemente sospettata di eresia” e che “si erano notoriamente diffuse voci di suoi atti e detti che ferivano la nostra fede”. Questa era la base per la diffamatio, un requisito necessario per portare le accuse contro un sospetto. Egli alludeva anche alla prevista assenza del vice-inquisitore di Rouen, Jean Le Maistre, la cui presenza era richiesta dal diritto canonico per convalidare il procedimento. L’assenza di Lemaitre fu poi spiegata durante il processo d’appello da quattro testimoni oculari, che dissero che Le Maistre aveva delle obiezioni al processo e si rifiutò di collaborare fino a quando gli inglesi minacciarono la sua vita. La corte d’appello del dopoguerra dichiarò in seguito questi punti come violazioni delle regole della Chiesa.

In risposta alla convocazione del vescovo Cauchon in questa stessa data, il sacerdote e ufficiale giudiziario Jean Massieu riferì che Giovanna aveva accettato di comparire in tribunale, ma chiese che gli ecclesiastici della parte francese fossero convocati in numero pari a quelli della parte inglese (come richiesto dalle regole della Chiesa), e chiese di poter ascoltare la messa. In risposta, il promotore (procuratore) Jean d’Estivet proibì a Giovanna di assistere agli uffici divini, citando “specialmente l’improprietà degli indumenti a cui si aggrappava” secondo la trascrizione del processo (traduzione di Barrett). Il suo abbigliamento da soldato divenne sempre più un problema man mano che il processo progrediva e il tribunale non riuscì a trovare altri motivi per una condanna. Diversi testimoni oculari dissero in seguito che lei indossava un abito da soldato che aveva una tunica, un cappello e lunghi stivali che arrivavano fino alla vita, tutti legati insieme con delle corde, di cui lei disse di aver bisogno per proteggersi dall’essere violentata dalle sue guardie (cioè, legare insieme i tre capi di abbigliamento rendeva difficile per le guardie toglierle i vestiti, ma un vestito da donna l’avrebbe lasciata più vulnerabile poiché era aperto in basso).

Prima sessione: Mercoledì 21 febbraio 1431Modifica

Dopo essere stata portata davanti al tribunale, il procedimento fu spiegato a Giovanna e le fu consegnata un’esortazione dal vescovo Cauchon, in seguito alla quale le fu chiesto di prestare giuramento sulla sua testimonianza.

Domanda: Giura di dire la verità in risposta alle domande che le verranno poste? Giovanna: Non so su cosa volete esaminarmi. Forse potreste chiedere cose che non direi. Domanda: Giuri di dire la verità sulle cose che ti vengono chieste sulla fede, che tu conosci? Giovanna: Su mio padre e mia madre, e su quello che ho fatto da quando ho preso la strada per la Francia, giuro volentieri di dire la verità. Ma per quanto riguarda le mie rivelazioni da parte di Dio, queste non le ho mai dette o rivelate a nessuno, tranne che a Carlo, il mio re. E non le rivelerò per salvare la mia testa.

La corte tornò sulla questione del giuramento nelle sessioni successive.

Le furono poi chieste informazioni sul suo nome, la sua nascita, i suoi genitori e padrini, il suo battesimo e la sua educazione religiosa. Quando riferì che sua madre le aveva insegnato le preghiere cattoliche standard – il Pater Noster (“Padre nostro” o “Padre Nostro”), Ave Maria (“Ave Maria”), e il Credo (“Credo degli Apostoli”) – Cauchon le chiese di recitare il Pater Noster. Lei rispose che lo avrebbe fatto solo se le fosse stato permesso di essere ascoltata in Confessione.

Infine, ricordandole i suoi precedenti tentativi di fuga, Giovanna fu ammonita contro la fuga, dicendole che se lo avesse fatto, sarebbe stata automaticamente condannata per eresia. Lei lo rifiutò, dicendo che non aveva prestato giuramento a nessuno su questo argomento e aggiungendo: “È vero che ho voluto e voglio ancora fuggire, come è lecito per ogni prigioniero o carcerato”.

Seconda sessione: Giovedì 22 febbraio 1431Modifica

A questa sessione Jean Lemaitre il vice-inquisitore era finalmente presente, dopo aver cercato di evitare la sua presenza. Non fu presente a nessuna delle sessioni successive fino al 13 marzo, e in seguito non si occupò quasi mai del caso per tutto il corso del processo.

Dopo qualche altra discussione sul giuramento, Giovanna fu interrogata sulla sua giovinezza e sulle sue attività a Domrémy. Rispose che aveva imparato a “filare e a cucire”, che “confessava i suoi peccati una volta all’anno”, a volte più spesso, e “riceveva il sacramento dell’Eucaristia a Pasqua”. Poi l’interrogatorio prese una piega più seria quando si parlò delle sue visioni.

Afferma che all’età di dodici o tredici anni, “ebbe una voce da Dio che mi aiutava e mi guidava”, ma che all’inizio “aveva molta paura”. Aggiunge che la voce si sentiva “raramente senza luce” e che “la sentiva spesso” quando veniva in Francia. Poi raccontò i dettagli del suo viaggio da Domrémy, a Chinon, chiedendo prima a Robert de Baudricourt a Vaucouleurs una scorta e lasciando quella città vestita da soldato e dotata di una spada fornita da Baudricourt.

Terza sessione: Sabato 24 febbraio 1431Modifica

Ancora una volta la sessione iniziò con schermaglie sul giuramento, dopo di che Jean Beaupere iniziò con un ampio interrogatorio sulle voci di Giovanna. Le fu chiesto, tra le altre cose, cosa stava facendo quando la voce veniva da lei, dove era la voce, se c’era qualche interazione tattile, cosa diceva, ecc. Joan riferì di aver chiesto consiglio alla voce riguardo all’interrogatorio e le fu detto di “rispondere con coraggio e Dio l’avrebbe confortata”. Affermò inoltre che “non si trovò mai a pronunciare due opinioni contrarie” e affermò la sua convinzione che “questa voce viene da Dio, e per suo ordine”.

Seguirono diverse domande di natura teologica, tra cui questa:

Domanda: Lei sa se è in grazia di Dio o no? Giovanna: Se non lo sono, che Dio mi ci metta; e se lo sono, che Dio mi tenga così. Sarei la creatura più triste del mondo se sapessi di non essere nella sua grazia”.

La domanda era un deliberato tentativo di intrappolarla, poiché la dottrina della Chiesa sosteneva che nessuno poteva essere certo di essere in grazia di Dio; e tuttavia rispondere “no” poteva anche essere usato contro di lei perché il giudice poteva sostenere che aveva ammesso di essere in stato di peccato. Secondo i testimoni oculari, questa domanda suscitò la protesta di uno degli assessori, Jean Lefèvre, che disse che era una “domanda grave” a cui Giovanna non era tenuta a rispondere. Cauchon replicò: “Sarebbe stato meglio per te se avessi tenuto la bocca chiusa!”. La risposta di Giovanna, evitando abilmente la trappola teologica, lasciò la corte “stupefatta” secondo uno dei notai, Boisguillaume, e aggiunse che se fosse stata in uno stato di peccato, non pensava che questi santi sarebbero venuti da lei; e desiderava che tutti potessero sentirli bene come lei. Pensava di avere circa tredici anni quando vennero da lei per la prima volta.

Da lì, l’interrogatorio tornò sull’infanzia di Giovanna a Domremy, con domande sull'”Albero delle signore” e le usanze che lo circondavano. La sessione si concluse con la domanda a Joan se avrebbe indossato abiti da donna se le fossero stati forniti. Lei rispose: “Datemelo e lo prenderò e me ne andrò; altrimenti, mi accontento di questo, poiché piace a Dio che io lo indossi.”

Quarta sessione: Martedì 27 febbraio 1431Modifica

Ancora una volta Giovanna fece una forma limitata del giuramento e di nuovo Beaupere prese il comando principale dell’interrogatorio, passando prima all’argomento delle sue voci. Giovanna dichiarò che aveva sentito le voci molte volte dalla seduta precedente e che erano Santa Caterina e Santa Margherita, le cui voci l’avevano guidata per sette anni, ma che la prima volta che aveva sentito le voci (quando aveva circa 13 anni), era quella di San Michele. Ha detto che Santa Caterina e Santa Margherita le sono apparse con “belle corone” sulle loro teste. Rifiutò di rispondere ad alcune domande e rimandò altre al verbale dell’inchiesta di Poitiers.

Ci fu un ulteriore interrogatorio sulla sua assunzione dell’abbigliamento da soldato al quale rispose: “Tutto quello che ho fatto è per ordine di Dio”. Per quanto riguarda il suo primo incontro con Carlo VII, rimanda le domande più sostanziali agli atti dell’inchiesta di Poitiers, ma afferma che il “Re aveva un segno che riguardava la mia missione prima di credere in me” e che “il clero del mio partito riteneva che non ci fosse nulla di buono nella mia missione”.

Seguirono domande sulla sua spada e sul suo stendardo, che i periti le chiesero di descrivere in particolare dettaglio. La sessione si concluse con le domande sull’assedio di Orleans e l’assalto alla città di Jargeau. Riguardo al primo, ha dichiarato che “in effetti” sapeva in anticipo che sarebbe stata ferita, e che “lo aveva detto al suo re”. Fu infatti ferita da una freccia tra il collo e la spalla sinistra mentre aiutava a sollevare una scala contro la fortezza di Les Tourelles.

Quinta sessione: Giovedì 1 marzo 1431Modifica

Dopo i soliti disaccordi sul giuramento, la seduta si concentrò su alcune lettere scambiate tra lei e il conte di Armagnac riguardo a quale dei tre pretendenti papali fosse il vero Papa. Giovanna dichiarò che “credeva nel nostro Santo Padre il Papa di Roma” e che “non aveva mai scritto né fatto scrivere nulla riguardo ai tre Pontefici sovrani”.

Si parlò poi di altre lettere da lei dettate. Nel corso di questo scambio, affermò che “prima di sette anni gli inglesi perderanno una posta più grande di quella che hanno avuto ad Orléans, perché perderanno tutto in Francia” e che lei lo sapeva per rivelazione.

A Giovanna furono poi poste molte domande dettagliate sui santi (chiamati “apparizioni” dall’interrogante, Pierre Cauchon) che lei credeva l’avessero visitata. Le fu chiesto se erano maschi o femmine, se avevano i capelli, che lingua parlavano, ecc. Alla domanda se Santa Margherita parlasse inglese, rispose: “Perché dovrebbe parlare inglese quando non è dalla parte degli inglesi?”

Le fu poi chiesto dei suoi anelli e se avesse tentato di fare delle cure con essi, al che lei rispose: “Non ho mai curato nessuno con nessuno dei miei anelli”. Le chiesero anche se avesse una mandragola (una statuetta per invocare i demoni), al che lei rispose: “

E infine le fu chiesto di nuovo il segno che fu dato al suo Re per cui riconobbe lei e la sua missione e di nuovo rifiutò di rispondere a qualsiasi domanda su questo argomento, dicendo: “Andate a chiederlo a lui”

Sesta sessione: Sabato 3 marzo 1431Modifica

Dopo aver prestato il giuramento nella stessa forma di prima, l’interrogatorio si rivolse ancora una volta all’apparizione dei santi che diceva di vedere. Ella dichiarò: “Li ho visti con i miei occhi, e credo di averli visti tanto fermamente quanto credo nell’esistenza di Dio”, e che Dio li aveva creati nella forma e nel modo che lei vedeva.

Riguardando la questione di una futura fuga, disse che i santi nelle sue visioni “mi hanno detto che sarò liberata, ma non conosco né il giorno né l’ora”

Tornando di nuovo alla questione della sua adozione dell’abbigliamento da soldato, le fu chiesto se lo avesse indossato “per rivelazione”. Si riferì al resoconto di Poitiers, ma aggiunse che aveva iniziato a indossare abiti da soldato a Vaucouleurs, quando si mise in viaggio attraverso il territorio controllato dal nemico per recarsi a Chinon. Molte altre domande su questo argomento le furono poste e lei si rifiutò di rispondere. Ma è emerso che, in diverse occasioni, le sono stati offerti abiti femminili e le è stato chiesto di togliersi l’abbigliamento maschile, ma lei ha risposto che “non lo avrebbe fatto senza il permesso di Dio”

Molte altre domande sul suo stendardo e le sue bandiere e quelle dei suoi seguaci sono seguite. Lei rispose che erano fatti di “raso bianco, e su alcuni c’erano dei gigli.”

Dopo aver descritto brevemente il suo incontro con Frate Riccardo a Troyes, l’interrogatorio si spostò sulla questione dei dipinti di Giovanna (“Ad Arras, ho visto un dipinto di me stesso fatto dalle mani di uno scozzese”) e sulla risposta della gente comune a lei – il bacio dei suoi anelli, mani, vestiti, e simili. (“molte donne hanno toccato le mie mani e i miei anelli; ma non so con quale pensiero o intenzione.”

Giovanna fu poi interrogata sul suo incontro con Caterina de La Rochelle, una mistica francese che sosteneva anche lei di avere rivelazioni da Dio. Giovanna disse che i suoi santi avevano descritto Caterina come “follia e niente più”.

Finalmente, la sessione si chiuse con alcune domande sul tentativo di fuga di Giovanna dal castello di Beaurevoir, dove fu tenuta per alcuni mesi dai suoi rapitori borgognoni. Ella dichiarò che, sebbene le sue visioni lo vietassero, “per paura degli inglesi, saltai e mi raccomandai a Dio” e “saltando fui ferita”, affermando inoltre che avrebbe “preferito consegnare la sua anima a Dio piuttosto che cadere nelle mani degli inglesi”.

Sessioni in carcereEdit

Settima sessione: Sabato 10 marzo 1431Edit

L’interrogatorio riprende, questa volta nella sua cella, con solo una manciata di assessori presenti. Giovanna descrive l’azione fuori Compiègne quando è stata fatta prigioniera dai Borgognoni. Interrogata sul ruolo dei suoi santi in questa azione, Giovanna riferì che “la settimana di Pasqua scorsa, quando ero nelle trincee a Melun, mi fu detto dalle mie voci … che sarei stata catturata prima del giorno di San Giovanni”, aggiungendo che “doveva essere così” e che “non dovevo essere angosciata, ma prenderlo in buona parte, e Dio mi avrebbe aiutato”. Tuttavia, sebbene sapesse che sarebbe stata catturata, non conosceva la data e l’ora.

Le fu poi chiesto del suo stendardo e del significato dei disegni dipinti su di esso. Infine, la sessione si chiuse con domande sul segno che lei diede a Carlo come prova della sua missione.

Ottava sessione: Lunedì 12 marzo 1431 (mattina)Edit

Joan fu interrogata riguardo al primo incontro con il suo Re quando gli fu mostrato un segno. Poi l’attenzione si spostò sul fatto se le sue voci/santi l’avessero mai delusa in qualche modo.

Domanda: L’angelo non ti ha forse deluso … quando sei stata fatta prigioniera? Giovanna: … poiché piacque a Dio, fu meglio per me essere fatta prigioniera.

Affermava inoltre che essi (i suoi santi) “venivano spesso senza che io li chiamassi, ma a volte, se non venivano, pregavo Dio di mandarli”, aggiungendo “non ho mai avuto bisogno di loro senza averli.”

Più tardi, commentando quando sentì per la prima volta le sue voci, Giovanna disse che aveva “fatto voto di conservare la sua verginità finché fosse piaciuto a Dio” aggiungendo che aveva allora “tredici anni, o giù di lì”. Disse che non aveva detto a nessuno delle sue visioni (né ai suoi genitori, né al suo prete, né a nessun ecclesiastico), eccetto Robert de Baudricourt.

Chiesto se pensava che fosse giusto lasciare i suoi genitori senza permesso, rispose che lo faceva per ordine di Dio e quindi “era giusto farlo”, affermando inoltre che “dopo, scrissi loro, ed essi mi perdonarono.”

Nona sessione: Lunedì 12 marzo 1431 (pomeriggio) Edit

Joan fu interrogata su un sogno che suo padre fece prima che lei lasciasse Domrémy. Rispose che le era “stato detto spesso da mia madre che mio padre parlava di aver sognato che sarei partita con gli uomini d’arme” e che aveva sentito sua madre raccontare come “mio padre disse ai miei fratelli ‘in verità, se pensassi che accadesse questa cosa che ho sognato su mia figlia, vorrei che la annegaste; e se non lo faceste, la annegherei io stesso'”. (Evidentemente egli pensava erroneamente che sarebbe diventata una prostituta al seguito di un esercito.)

L’interrogatorio si rivolse poi nuovamente alla sua adozione dell’abbigliamento maschile. Lei rispose che la decisione di adottare lo stesso fu “di sua spontanea volontà, e non su richiesta di nessun uomo in vita”. Aggiunse che “Tutto quello che ho fatto l’ho fatto su istruzione delle mie voci”, quest’ultimo commento in risposta ad una domanda se le sue voci le avessero ordinato o meno di indossare una tenuta da soldato.

Decima sessione: Martedì 13 marzo 1431Modifica

La maggior parte di questa sessione è stata occupata da una discussione sul “segno” mostrato al re (Carlo) quando Giovanna lo incontrò per la prima volta a Chinon. Alla domanda se avesse giurato a Santa Caterina di non raccontare il segno, Giovanna rispose: “Ho giurato e promesso di non raccontare questo segno, di mia spontanea volontà”.

Nonostante ciò, continuò a descrivere il segno e l’incontro in dettaglio. Descrisse un angelo che portava al re una corona d’oro puro, ricca e preziosa, che fu messa nel tesoro del re. Aggiunse che quando si presentò per la prima volta al re accompagnata dall’angelo, gli disse: “Sire, questo è il vostro segno; prendetelo”. Quando le fu chiesto perché Dio l’avesse scelta per questo compito, rispose semplicemente: “è piaciuto a Dio fare così, con una semplice cameriera per respingere i nemici del re”

L’interrogatorio passò poi all’assalto di Parigi. Ella dichiarò di essere andata a Parigi non per ordine di una rivelazione, ma “su richiesta di nobili che volevano fare un attacco” aggiungendo che “dopo che mi era stato rivelato … a Melun che sarei stata catturata, di solito rimandavo ai capitani sulle questioni di guerra.”

Undicesima sessione: Mercoledì 14 marzo 1431 (mattina)Edit

La sessione mattutina del 14 marzo iniziò con un lungo interrogatorio riguardante il salto di Giovanna dalla torre di Beaurevoir dove era stata tenuta prigioniera prima di essere consegnata agli inglesi. Ella diede come uno dei motivi del salto il fatto di sapere che “era stata venduta agli inglesi, e sarei morta piuttosto che cadere nelle mani dei miei nemici inglesi.”

Chiesto direttamente se, saltando dalla torre, si aspettava di uccidersi, Giovanna rispose: “No, perché mentre saltavo mi sono raccomandata a Dio. Saltando sperava di fuggire ed evitare la consegna agli inglesi.

L’interrogatorio si rivolse allora ai suoi Santi e alla luce che li accompagnava quando le parlavano. Ella affermò che non c’era giorno in cui essi non venissero, e che erano sempre accompagnati da una luce. Chiese tre cose alle sue voci: la sua liberazione (dalla prigionia degli inglesi), che Dio aiutasse i francesi e, infine, chiese la salvezza della sua anima.

La prigioniera fu interrogata su un avvertimento che aveva dato al vescovo Cauchon. Ella riferì le sue parole come segue:

Giovanna: (a Cauchon) “Tu dici di essere il mio giudice; io non so se lo sei; ma bada bene di non giudicarmi male, perché ti metteresti in grande pericolo. E ti avverto che se Dio ti punirà per questo, avrò fatto il mio dovere nel dirtelo”.

Chiesto cosa significasse questo, ella riferì che Santa Caterina le aveva detto che avrebbe avuto un aiuto, che sarebbe stata liberata da una grande vittoria, aggiungendo: “Prendi tutto con tranquillità; non preoccuparti del tuo martirio; alla fine verrai nel Regno del Paradiso”.

L’interrogatorio terminò per questa sessione con la domanda a Giovanna se, dopo aver sentito questa rivelazione, sentiva di non poter più commettere peccato mortale. Lei rispose: “Non lo so; ma in tutto mi affido a Dio”.

Dodicesima sessione: Mercoledì 14 marzo 1431 (pomeriggio)Edit

Nel pomeriggio dello stesso giorno, i giudici si riunirono di nuovo nella cella di Giovanna, riprendendo da dove la sessione del mattino si era interrotta, cioè con la questione della salvezza di Giovanna e la certezza che sentiva riguardo ad essa. Giovanna qualificò la sua precedente risposta aggiungendo che la sua convinzione della sua salvezza era “a condizione che io mantenessi il mio giuramento e la mia promessa a Nostro Signore di conservare la mia verginità del corpo e dell’anima”

Interrogata su un eventuale bisogno di confessarsi, rispose che “non sapeva di aver commesso un peccato mortale”, aggiungendo che “se io fossi in peccato mortale, penso che S. Caterina e S. Margherita sarebbero state in grado di confessarsi. Caterina e Santa Margherita mi abbandonerebbero subito”

Dopo che fu posta una domanda sulle accuse che Giovanna aveva preso un uomo in riscatto e successivamente lo aveva fatto mettere a morte, rispose che non lo aveva fatto. Poi gli assessori lessero una lista di accuse, che erano state tutte trattate in precedenti esami, e le chiesero, in riferimento ad esse, se si sentisse o meno in peccato mortale come risultato. Rispose:

Giovanna: “Non credo di essere in peccato mortale, e se lo sono, spetta a Dio, e al sacerdote in confessione, saperlo”.

A parte questo, le sue risposte alle accuse (riguardanti l’attacco a Parigi in un giorno di festa, l’accusa di aver rubato un cavallo al vescovo di Senlis, il suo salto dalla torre di Beaurevoir, il suo indossare abiti maschili, e la suddetta accusa riguardante un prigioniero che fu messo a morte) erano una ricapitolazione delle risposte precedenti. Riguardo al cavallo, la sua dichiarazione fu che lei aveva acquistato il cavallo dal Vescovo, ma che non sapeva se lui avesse ricevuto il denaro.

Tredicesima sessione: Giovedì 15 marzo 1431Modifica

Durante il processo, Giovanna aveva chiesto di ascoltare la messa che le era stata rifiutata. Le è stato chiesto se fosse opportuno o meno che partecipasse alla messa con abiti maschili o femminili.

Giovanna: Promettimi che potrò ascoltare la Messa se indosso abiti da donna. Interrogatore: Ti prometto che sentirai la Messa se indosserai abiti da donna. Giovanna: E cosa dici se ho promesso al nostro re e giurato di non togliermi questi abiti? Nondimeno, dico, fatemi una veste lunga che tocchi la terra, senza strascico e datemela per la Messa. Poi, quando tornerò, mi rimetterò questi abiti che indosso.

In tutto il resto di questa sezione Giovanna dice agli inquisitori che è sicura di ciò che ha detto loro. Ha detto: “Tutte le mie parole e le mie azioni sono nelle mani di Dio, e io aspetto lui in queste cose. Vi assicuro che non farei né direi nulla contro la fede cristiana. Se avessi detto o fatto qualcosa, o se ci fosse qualcosa sul mio corpo che gli impiegati potessero dire che fosse contro la fede cristiana che il Signore ha stabilito, io non la sosterrei ma la respingerei.″ Con questa citazione è evidente che Giovanna crede che tutto ciò che sta facendo è vero e puro in termini di fede. Spiega di più su come interagisce con i Santi.

Quattordicesima sessione: Sabato 17 marzo 1431 (mattina)Edit

In quasi l’ultima sessione, Giovanna risponde alle domande sulle sue voci di Santi e sull’indossare abiti maschili. Giovanna spiega che Santa Caterina e Santa Margherita ″amano ciò che Dio ama e odiano ciò che Dio odia.″ Secondo il testo, Giovanna credeva che gli inglesi sarebbero stati picchiati come punizione per i loro peccati. Questa sessione si concentra sulla carriera militare di Giovanna e sul fatto che lei stessa sia stata venerata. Rifiuta di rispondere ad alcune delle domande poste dai suoi inquisitori sul suo stendardo e la sua spada, ma spiega loro che aveva già risposto a queste domande, cosa che fa ripetutamente per tutta la durata del suo processo.

Quindicesima sessione: Sabato 17 marzo 1431 (pomeriggio)Edit

Nella sezione finale del suo processo, Giovanna viene interrogata sul suo stendardo. Gli inquisitori insinuano che lo stendardo è la ragione per cui è stata vittoriosa in battaglia, ma Giovanna dà tutto il merito a Dio. Giovanna aveva detto ai suoi inquisitori che le sante Margherita e Caterina le avevano dato lo stendardo anche se era stato fornito da Dio. Spiega che tutto il simbolismo e le parole erano tutte in rispetto a Dio. A Giovanna viene chiesto se era stata in contatto con le fate, perché guardava il suo anello prima della battaglia e perché lo stendardo era presente all’incoronazione del Delfino. È qui che si concentrano maggiormente le accuse di Giovanna di essere una strega.

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